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DOLLARO-YEN A 154

Quando Tokyo Decide di Guardare Altrove



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Il USDJPY a 154,520 racconta una storia particolare. Non quella di un crollo improvviso o di un'impennata speculativa, ma qualcosa di più sottile e forse più significativo: il silenzio assordante di chi potrebbe agire ma sceglie di non farlo. Perché mentre lo yen continua a indebolirsi, scivolando verso livelli che solo pochi anni fa avrebbero fatto scattare allarmi e interventi immediati, da Tokyo arriva sostanzialmente... nulla.

Proviamo a capire cosa sta succedendo davvero. Secondo le analisi di BofA Global Research, "l'intervento non sembra imminente a quota 155". Una frase che suona quasi banale, ma che in realtà è carica di significato. Perché stiamo parlando di un livello che ha già superato la media pre-intervento di 153,6 yen per dollaro osservata dal 2022. Eppure, il Ministero delle Finanze giapponese sembra intenzionato a restare fermo.

La storia recente ci aveva abituato a uno yen che, quando scendeva troppo, veniva "difeso". L'ultima volta che Tokyo è intervenuta direttamente sul mercato dei cambi era luglio 2024, con il cambio oltre quota 160. Ma guardate i numeri di oggi: i tassi di variazione a due settimane e un mese si attestano rispettivamente a +2,2% e +4,7%, "marginalmente superiori alle medie storiche che hanno preceduto interventi precedenti". Eppure, niente. Perché?

La risposta non sta in un singolo fattore, ma in una costellazione di elementi che si intrecciano e che raccontano molto di più della semplice dinamica valutaria. Partiamo dal dato tecnico più interessante: la volatilità. La volatilità implicita a un mese è scesa sotto l'8%, segnando il livello più basso da giugno 2024. Quando Tokyo intervenne a luglio 2024, la volatilità era all'8,5%. Cosa significa? Che il mercato è "ordinato", come lo definiscono gli analisti. Non c'è panico, non ci sono movimenti erratici, non c'è quella frenesia speculativa che di solito giustifica un intervento delle autorità.

E poi c'è un paradosso affascinante: mentre lo yen si indebolisce, i mercati finanziari giapponesi vanno a gonfie vele. Il Nikkei 225 continua a registrare massimi storici, i rendimenti dei titoli di Stato giapponesi a lunghissimo termine sono in calo. BofA Securities osserva che "i titoli azionari e i titoli di Stato giapponesi mostrano forza", segnalando che "il deprezzamento dello yen non ha ancora imposto uno stress significativo sugli asset finanziari nazionali". In altre parole: lo yen debole fa male ai consumatori che devono importare energia e cibo, ma piace molto alle aziende esportatrici e al mercato azionario.

Ma c'è dell'altro. Il 28 ottobre, il Segretario al Tesoro statunitense Scott Bessent ha scritto su X che "la disponibilità del governo a concedere spazio di manovra alla Banca del Giappone sarà fondamentale per ancorare le aspettative di inflazione ed evitare un'eccessiva volatilità del tasso di cambio". BofA interpreta questo come un "segnale sottile" che incoraggia la BoJ a considerare aumenti dei tassi, riflettendo la preferenza di Washington per la normalizzazione della politica monetaria rispetto all'intervento diretto sul mercato.

Tradotto dal diplomatichese: gli Stati Uniti preferirebbero che il Giappone alzasse i tassi d'interesse piuttosto che intervenire comprando yen e vendendo dollari sul mercato. Perché? Perché operazioni massive di vendita di dollari potrebbero creare instabilità sui mercati valutari globali in un momento delicato. E qui emerge il vincolo geopolitico: "resta incerto se l'intervento sul mercato dei cambi per contrastare la debolezza dello yen riceverebbe sostegno o comprensione dalle autorità statunitensi".

Guardiamo i dati macroeconomici. L'inflazione americana si attesta al 3,0% a ottobre 2025, ben sopra il target del 2% della Fed. La disoccupazione USA è al 4,3%. Il PIL del terzo trimestre americano cresce del 3,8%. Dall'altra parte del Pacifico, il Giappone ha una crescita anemica, un'inflazione che per gli standard locali è elevata (anche se molto più bassa di quella americana), e una Bank of Japan che ha appena "mantenuto invariata la politica monetaria" nella sua ultima riunione.

E qui emerge l'economia a forma di "K" che caratterizza gli Stati Uniti. I consumatori ad alto reddito continuano a spendere, alimentati dall'aumento del valore delle loro azioni e proprietà. Acquistano auto, case, prenotano vacanze. Dall'altra parte, le famiglie a basso reddito vengono schiacciate dall'inflazione. Come fa la Federal Reserve a navigare in questo scenario? Il calendario economico mostra otto meeting programmati nel 2026. Ogni decisione sui tassi avrà ripercussioni dirette sul USDJPY.

Ma torniamo a Tokyo. Anche la politica interna gioca un ruolo cruciale. L'amministrazione Takaichi, recentemente insediata, deve affrontare la sfida di bilanciare uno yen debole e un'inflazione in aumento, dando priorità all'espansione fiscale. BofA Securities scrive che "all'interno dell'amministrazione, potrebbe essere necessario del tempo per costruire un consenso sulla politica dei cambi". E c'è un dato interessante: i dati di Google Trends suggeriscono che "la preoccupazione pubblica per il deprezzamento dello yen e l'aumento dei prezzi non è attualmente elevata", riducendo la pressione politica per un'azione rapida.

Pensateci: lo yen debole danneggia i consumatori, ma non abbastanza da scatenare proteste di massa. Nel frattempo, le grandi aziende esportatrici - che hanno un peso politico notevole - beneficiano di un cambio favorevole. Il governo ha altre priorità, come l'approvazione di un bilancio supplementare. E poi c'è un vincolo concreto: i piani del governo di finanziare circa la metà dei suoi impegni di investimento negli Stati Uniti attingendo alle riserve di valuta estera nell'ambito del recente accordo di investimento USA-Giappone. BofA avverte che "un intervento prolungato sul mercato dei cambi potrebbe esaurire queste riserve", potenzialmente ostacolando la capacità del Giappone di rispettare i suoi impegni esterni.


I Livelli Chiave da Monitorare

Dal punto di vista tecnico, il USDJPY si trova in una posizione delicata. A 154,520, il cambio ha già superato la soglia psicologica di 154 dopo la decisione della BoJ di mantenere invariata la politica monetaria. Ma è quello che potrebbe succedere nei prossimi movimenti a essere davvero interessante.

Gli analisti di BofA Securities osservano che "in assenza di un forte aumento delle posizioni speculative o della volatilità, USDJPY potrebbe testare il livello di 158 prima di innescare una risposta politica significativa". Questo numero - 158 - diventa quindi la prima resistenza critica da monitorare. Non è un livello tecnico qualsiasi: è la soglia oltre la quale Tokyo potrebbe iniziare seriamente a considerare un intervento.

Ma c'è di più. Il "rischio di un superamento fino a 160 nel quarto trimestre 2025 è aumentato", secondo le stesse analisi. E 160 non è un numero casuale: è stato proprio a questi livelli che nel luglio 2024 il Ministero delle Finanze giapponese è intervenuto direttamente sul mercato. Quella soglia rappresenta quindi non solo una resistenza tecnica, ma anche una "linea rossa" politica.

Guardate il grafico di lungo periodo: dopo aver toccato i massimi sopra 160 nel 2024, il cambio è sceso formando quello che potrebbe essere interpretato come un range di consolidamento. Ma ogni tentativo di rottura verso l'alto di area 155 merita attenzione particolare. Perché se il mercato dovesse sfondare con convinzione questi livelli, la strada verso 158 potrebbe essere rapida. E da 158 a 160 il passo è breve, soprattutto in assenza di interventi.

BofA Global Research riassume la strategia giapponese in modo eloquente: Tokyo potrebbe "assecondare il movimento e intervenire solo quando USD/JPY si avvicina a livelli più critici o quando si accumulano posizioni speculative". È una tattica di attesa calcolata. Lasciare che il cambio salga, che gli speculatori si posizionino tutti dalla stessa parte, e poi colpire con maggiore efficacia quando il mercato è più esposto.

Per chi opera sui mercati valutari, questo significa che ogni movimento oltre 155 va seguito con particolare attenzione. Non tanto per l'impatto immediato, quanto per quello che potrebbe innescare. Una rottura decisa di 155-156 potrebbe accelerare il movimento verso 158. E a quel punto, secondo le indicazioni degli analisti, il gioco cambia. La probabilità di un intervento aumenta, la volatilità potrebbe schizzare, le posizioni accumulate potrebbero essere rapidamente liquidate.

Dall'altra parte, attenzione anche ai movimenti in direzione opposta. Se il USDJPY dovesse rompere al ribasso area 150, significherebbe che qualcosa è cambiato nella narrativa di fondo: forse la Fed che taglia più aggressivamente del previsto, forse la BoJ che sorprende con un rialzo dei tassi, forse tensioni geopolitiche che riattivano la funzione di safe haven dello yen.

Per un investitore italiano con esposizione al mercato giapponese - magari attraverso ETF sul Nikkei 225 o azioni di grandi multinazionali come Toyota o Sony - monitorare questi livelli diventa essenziale. Un Nikkei che sale del 10% può trasformarsi in un rendimento nullo in euro se lo yen si rafforza di colpo da 155 a 145. E viceversa: anche un mercato azionario piatto può regalare performance solo dal movimento valutario se lo yen continua a scivolare.

Per le aziende italiane che esportano in Giappone, un USDJPY che sfonda verso l'alto significa generalmente anche un euro forte contro lo yen, rendendo i prodotti italiani più costosi per i consumatori giapponesi. Ma significa anche maggiore prevedibilità: se Tokyo interviene a certi livelli, quella diventa una sorta di "assicurazione" contro movimenti eccessivi.

Mentre l'Europa mostra segnali timidi di ripresa - la produzione industriale di settembre è cresciuta dello 0,2% mensile, il PIL del terzo trimestre segna un +0,2% trimestrale - e la BCE mantiene i tassi al 2,15%, il vero tema per i mercati valutari rimane il differenziale con i tassi americani e la capacità (o volontà) delle autorità giapponesi di contrastare movimenti eccessivi.

La sintesi è questa: "la bassa volatilità, la solidità dei mercati nazionali e un'alta soglia politica suggeriscono che qualsiasi azione verrebbe ritardata fino a quando la discesa dello yen non si avvicinerà a ¥158–¥160". Tokyo sta dicendo al mercato: "Vai pure avanti, ma sappi che c'è un limite". Il problema è che il mercato sta testando esattamente dove sia quel limite. E ogni giorno che passa senza intervento, ogni resistenza che viene superata senza conseguenze, quel limite sembra spostarsi un po' più in là.

Mentre scriviamo, il USDJPY a 154,520 si trova in una terra di mezzo. Abbastanza alto da essere preoccupante per i consumatori giapponesi, abbastanza basso da non giustificare (ancora) un intervento delle autorità. Ma attenti alle prossime rotture: 155, 158, 160 non sono solo numeri su un grafico. Sono soglie psicologiche, politiche, operative. E quando verranno sfidate, i movimenti potrebbero essere rapidi e violenti, in entrambe le direzioni.

Domani quel numero sarà diverso. Forse 155, forse 153. Ma fino a quando non vedremo una rottura decisa verso 158 o segni evidenti di speculazione massiccia, Tokyo continuerà probabilmente a guardare. E il silenzio, in questo caso, è tanto una strategia quanto un rischio. Perché i mercati valutari hanno una caratteristica: quando tutti credono di conoscere il limite, è proprio lì che amano mettere alla prova quella certezza.

 
 
 

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